lunedì 25 novembre 2019

Lumachelle



Questi pani, si chiamano lumachelle per via della loro forma a chiocciola, sono tipiche di Orvieto e così ho voluto provarle in omaggio al mio arrivo in Umbria. Per le dosi sono andato un poco ad occhio, soprattutto per l'acqua che regolo in base alla lavorabilità dell'impasto.
Come sempre ho raccolto gli ingredienti secchi in una ciotola e li ho mescolati:

450 gr di farina integrale
100 gr di pancetta affumicata in cubetti
80 gr di pecorino grattugiato
un pizzico di bicarbonato
sale e pepe

Poi ho aggiunto:

20 gr di olio extravergine di oliva
140 ml circa di acqua a temperatura ambiente
150 gr lievito pasta madre

Dopo una decina di minuti di lavorazione l’impasto risulta liscio ed elastico, l'ho messo in una ciotola leggermente unta d'olio e l'ho coperto con un telo in cotone pulito, lasciandolo lievitare per circa tre quarti d'ora al riparo da correnti d'aria.

Trascorso il tempo di lievitazione, ho suddiviso l’impasto in tanti panetti da cui ho ricavato dei filoncini che poi ho arrotolato per dargli la forma di spirale e poi li ho messi sulla teglia di cottura.

Dopo questa operazione ho lasciato riposare le lumachelle per circa mezz'ora, in forno spento, per la seconda lievitazione. Prima di infornarle le ho spennellate con un'emulsione di olio ed acqua e poi messe nel forno preriscaldato a 190° per 18/20 minuti.

Sono ottime come accompagnamento ad una saporita zuppa di verdure. E’ preferibile consumarle calde nella stessa giornata in cui l’avete preparate al massimo il giorno dopo. Qui sono finite subito.

lunedì 18 novembre 2019

La quercia dei tramonti



Qui vorrei costruire la mia casa e dalla veranda osservare i tramonti!
Diceva così il mio accompagnatore, credo lo dica a tutti quelli che porta da queste parti.
Ho fatto questa foto verso la fine dell'estate, in un giorno quieto e silenzioso, ed invece di sedermi sulle panche ho preferito stendere la coperta sull'erba, dove il pane e formaggio hanno un sapore decisamente migliore.
Era la prima volta che passavo da quel prato da solo, così ho potuto osservarlo con calma, un piccolo pianoro alla sommità della collina, era un pascolo per pecore prima che un incendio lo destinasse al rimboschimento. Vi sono dei cespugli di ginestre, li ho riconosciuti perché anche le colline dietro Genova ne sono piene; pare siano le sole a resistere alle fiamme e quindi le prime a ricrescere. Per gli altri arbusti invece le cose sono più difficili. Le querce sono arrivate con il rimboschimento, ma oramai hanno preso familiarità con quella destinazione imposta dalla mano dell'uomo. In una macchia incolta ho scovato delle rose canine, del ginepro, qualche piccolo frassino e gli immancabili rovi. Ci sono anche moltissime altre specie arboree, che devo ancora imparare a riconoscere.
Nell'attesa guardo verso sud, dove il lago mostra tutta la sua bellezza.
Alle mie spalle c'è la grande quercia, si alza maestosa e domina solitaria il panorama verso nord.

Mi sono chiesto se anche a me piacerebbe una veranda ai piedi della quercia dei tramonti, ma ho risolto che non me ne importerebbe molto di averla. Certo andrei a vederli, i tramonti da sotto i rami della quercia, e forse, nelle notti d'estate rimarrei a controllare le stelle, ascoltando il frinire dei grilli e i refoli di vento che si rincorrono tra i rami. Mi basterebbe.

E poi alla quercia poco gliene importerebbe di avere una veranda tra le radici, lei gode del sole estivo e delle fredde tramontane invernali, del passaggio veloce dei cinghiali, dello scorrere di istrici e ricci, del passo cauto dei cacciatori, e magari anche del mio cappello appeso ad una canna incastrata nella panca, a patto che lo riprenda quando vado via. L'essere umano qui è superfluo.

Mi sono ripromesso che una sera salirò al pianoro per vedere un tramonto, arrampicato sui rami della quercia, dovrò farlo in una sera di luna, in modo da avere un lume sul cammino del ritorno.

lunedì 11 novembre 2019

I biscotti della gioia

La prima ricetta che ho sperimentato nella nuova cucina è quella dei biscotti di Ildegarda di Bingen.
Era da tempo che desideravo provarli, e sapevo che si potevano fare anche pestando il pane raffermo al posto della farina. Le ricette alternative sono moltissime, e ne avevo diverse versioni, con burro, con farina 0, con il miele, con il lievito istantaneo o quello di birra. Penso che vadano bene tutte, ognuno trova la sua preferita in base ai gusti ed alla disponibilità degli ingredienti, il sapore dominante infatti è dato dalle spezie. Ma c'è da dire che per Ildegarda un ingrediente fondamentale era la farina di farro. Dopo vari tentativi vi propongo questa versione, abbastanza semplice da realizzare per ottenere dei biscotti ottimi sia per uno spuntino pomeridiano o per accompagnare il caffè dopo pranzo. Ildegarda consigliava di consumarne due al mattino e due alla sera, assicurando un buon effetto sull'umore, sono noti come i biscotti della gioia, pare infatti che la combinazione di alcuni ingredienti sia in grado di stimolare questo sentimento.

Ingredienti:

1 Kg di farina di integrale
300 hg di zucchero di canna
4 cucchiaini di polvere di cannella
4 cucchiaini di polvere di noce moscata
2 cucchiaini di chiodi di garofano
un pizzico di bicarbonato
una presa di sale fino

Per prima cosa ho mescolato bene gli ingredienti secchi in una ciotola, pestando le spezie in un piccolo mortaio prima di aggiungerle al composto. A seguire ho aggiunto gli altri ingredienti:

4 cucchiai di lievito pasta madre
4 uova intere
120 ml di olio di oliva extravergine
latte tiepido se l'impasto risulta troppo secco

Ottenuto un impasto lavorabile sulla spianatoia ho formato una palla e l'ho lasciato riposare in frigorifero per un'ora.

Poi ho formato una sfoglia dello spessore di circa mezzo centimetro e usando degli stampini tondi (va bene anche un bicchiere) ho formato i biscotti che ho messo sulla teglia, infornandoli a 180° per circa 15 minuti. Siccome cuocendo aumentano di volume distanziateli tra loro di un paio di centimetri.

domenica 3 novembre 2019

Impronte

La terra è fragile, dove viene calpestata la vegetazione non cresce, l'erba dapprima si dirada e poi scompare completamente lasciando il suolo esposto alla corrosione. Nelle aiuole cittadine disseminate di erbacce e rifiuti si nota poco. Qui in campagna tutto è più evidente.
Ci pensavo mentre osservavo la sottile striscia di fango della stradina che dal posteggio conduce alla casa, ed i tanti altri percorsi che vengono abitualmente utilizzati dai residenti per spostarsi tra le casette e il dormitorio. Non sono solo le auto che causano l'arretramento dell'erba dalla strada sterrata, che nei giorni di pioggia diventa una striscia di fango, ma anche il passaggio delle persone a piedi provoca la scomparsa della vegetazione.

Mentre percorrevo la mulattiera che porta alla quercia dei tramonti ho notato le impronte di alcuni  escursionisti, e poi anche quelle di alcuni animali, forse cinghiali o qualche daino, ancora non le distinguo. Per un breve tratto avevano percorso la mulattiera, lasciandola poi per altre direzioni che si perdevano nel folto della boscaglia. Più sopra sul prato dove l'erba cresce rigogliosa le tracce si percepivano appena, e del loro passaggio restava soltanto qualche stelo abbattuto.
Più avanti, verso la casetta nel bosco, sul mio cammino ho trovato lo stampo esatto di uno scarpone ed oltre il segno dello zoccolo ferrato di qualche cavallo, le scie delle moto da cross o delle mountain bike invece sono sbiadite con le piogge, lasciando l'argilla compressa e dura.

Chissà quanto tempo impiega la natura a ripristinare la copertura verde? forse un mese, forse di più.
Mi è sorta questa domanda pensando alle imminenti piogge invernali che dilaveranno il percorso fangoso, formando dei piccoli torrenti, portando via la terra fertile ed aumentando la superficie di roccia già presente in alcuni punti.

Anche questa è una piccola forma di violenza sul terreno, a cui non saprei come rimediare, basta un passaggio saltuario e la vegetazione arretra, la terra mostra la sua ferita.